| Une
école différente ? Pour une société
différente
? Qui n'en veut ?! I Des
écoles différentes ? Oui, mais ... pas trop |
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L'heure
de la... It's time for ... Re-creation | Appel
pour des éts innovants et coopératifs |
L’industrie
du sport ne joue toujours pas le jeu
A l’occasion des jeux Olympiques,
force est de constater que
les conditions de travail ne s’améliorent que lentement dans l’industrie
du sport.
Des
J.O. à Paris ? Non, merci...
Les Jeux olympiques sont
d'abord une affaire de gros sous,
une très grosse
industrie qui brasse des milliards,
nécessite des
investissements lourds.
24
millions d'euros seront dépensés pour le seul dossier de
candidature de Paris.
Sans compter la garantie
financière de la Ville et de la région :
plus
de 2 milliards d'euros, soit 1 000 euros par Francilien !
Les investissements sont
à la charge de la Ville, de l'Etat ou de la région,
mais les bénéfices
démentiels générés par les droits TV ne vont
jamais aux collectivités.
Ainsi les villes organisatrices
peuvent se retrouver lourdement endettées, voire ruinées,
pour un profit maximum
du CIO et des multinationales sponsors.
L'organisation des grands
événements sportifs suit d'ailleurs un modèle économique
ultralibéral :
investissements
pris en charge par la collectivité,
et bénéfices
privatisés, souvent dans la plus grande opacité.
"rendez
nous nos terres"
La province du Guangdong
est l'atelier de la Chine où sont fabriqués
toutes sortes de produits
destinés à l'exportation.
Les prix fonciers y ont
grimpé au cours des 20 dernières années
pour faire place à
des usines exploitant une main d'oeuvre bon marché.
I
lager
cinesi che fabbricano
il sogno occidentale dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI Per confezionare un paio di Timberland, vendute in Europa a 150 euro, nella città di Zhongshan un ragazzo di 14 anni guadagna 45 centesimi di euro. Lavora 16 ore al giorno, dorme in fabbrica, non ha ferie né assicurazione malattia, rischia l'intossicazione e vive sotto l'oppressione di padroni-aguzzini. Per fabbricare un paio di scarpe da jogging Puma una cinese riceve 90 centesimi di euro: il prezzo in Europa è 178 euro per il modello con il logo della Ferrari. Nella fabbrica-lager che produce per la Puma i ritmi di lavoro sono così intensi che i lavoratori hanno le mani penosamente deformate dallo sforzo continuo. Gli operai cinesi che riforniscono i nostri negozi - l'esercito proletario che manda avanti la "fabbrica del mondo" - cominciano a parlare. Rivelano le loro condizioni di vita a un'organizzazione umanitaria, forniscono prove dello sfruttamento disumano, del lavoro minorile, delle violenze, delle malattie. Qualche giornale cinese rompe l'omertà. Ci sono scioperi spontanei, in un Paese dove il sindacato unico sta dalla parte dei padroni. Vengono alla luce frammenti di una storia che è l'altra faccia del miracolo asiatico, una storia di sofferenze le cui complicità si estendono dal governo di Pechino alle multinazionali occidentali. La fabbrica dello "scandalo Timberland" è nella ricca regione meridionale del Guangdong, il cuore della potenza industriale cinese, la zona da cui ebbe inizio un quarto di secolo fa la conversione accelerata della Cina al capitalismo. L'impresa di Zhongshan si chiama Kingmaker Footwear, con capitali taiwanesi, ha 4.700 dipendenti di cui l'80% donne. Ci lavorano anche minorenni di 14 e 15 anni. La maggioranza della produzione è destinata a un solo cliente, Timberland. Kingmaker Footwear è un fornitore che lavora su licenza, autorizzato a fabbricare le celebri scarpe per la marca americana. Le testimonianze dirette sui terribili abusi perpetrati dietro i muri di quella fabbrica sono state raccolte dall'associazione umanitaria China Labor Watch, impegnata nella battaglia contro lo sfruttamento dei minori e le violazioni dei diritti dei lavoratori. Le prove sono schiaccianti. Di fronte a queste rivelazioni il quartier generale della multinazionale ha dovuto fare mea culpa. Lo ha fatto in sordina; non certo con l'enfasi con cui aveva pubblicizzato il premio di "migliore azienda dell'anno per le relazioni umane" decretatole dalla rivista Fortune nel 2004. Ma attraverso una dichiarazione ufficiale firmata da Robin Giampa, direttore delle relazioni esterne della Timberland, ora i vertici ammettono esplicitamente: "Siamo consapevoli che quella fabbrica ha avuto dei problemi relativi alle condizioni di lavoro. Siamo attualmente impegnati ad aiutare i proprietari della fabbrica a migliorare". I "problemi relativi alle condizioni di lavoro" però non sono emersi durante le regolari ispezioni che la Timberland fa alle sue fabbriche cinesi (due volte l'anno), né risultano dai rapporti del suo rappresentante permanente nell'azienda. Sono state necessarie le testimonianze disperate che gli operai hanno confidato agli attivisti umanitari, rischiando il licenziamento e la perdita del salario se le loro identità vengono scoperte. "In ogni reparto lavorano ragazzi tra i 14 e i 16 anni", dicono le testimonianze interne: uno sfruttamento di minori che in teoria la Cina ha messo fuorilegge. La giornata di lavoro inizia alle 7.30 e finisce alle 21 con due pause per pranzo e cena, ma oltre l'orario ufficiale gli straordinari sono obbligatori. Nei mesi di punta d'aprile e maggio, in cui la Timberland aumenta gli ordini, "il turno normale diventa dalle 7 alle 23, con una domenica di riposo solo ogni 2 settimane; gli straordinari s'allungano ancora e i lavoratori passano fino a 105 ore a settimana dentro la fabbrica". Gli informatori dall'interno dello stabilimento hanno fornito 4 esemplari di buste paga a China Labor Watch. La paga mensile è di 757 yuan (75 euro) "ma il 44% viene dedotto per coprire le spese di vitto e alloggio". Vitto e alloggio significa camerate in cui si ammucchiano 16 lavoratori su brandine di metallo, e una mensa dove "50 lavoratori sono stati avvelenati da germogli di bambù marci". In fabbrica i manager mantengono un clima d'intimidazione "incluse le violenze fisiche; un'operaia di 20 anni picchiata dal suo caporeparto è stata ricoverata in ospedale, ma l'azienda non le paga le spese mediche". Un mese di salario viene sempre trattenuto dall'azienda come arma di
ricatto: se un lavoratore se ne va lo perde. Altre mensilità vengono
rinviate senza spiegazione. L'estate scorsa il mancato pagamento di un
mese di salario ha provocato due giorni di sciopero.
Minorenni alla catena di montaggio, fabbriche gestite come carceri, salari che bastano appena a sopravvivere, operai avvelenati dalle sostanze tossiche, una strage di incidenti sul lavoro. Dietro queste piaghe c'è una lunga catena di cause e di complicità. Il lavoro infantile spesso è una scelta obbliga per le famiglie. 800 milioni di cinesi abitano ancora nelle campagne dove il reddito medio può essere inferiore ai 200 euro all'anno. Per i più poveri mandare i figli in fabbrica, e soprattutto le figlie, non è la scelta più crudele: nel ricco Guangdong fiorisce anche un altro mercato del lavoro per le bambine, quello della prostituzione. Gli emigranti che arrivano dalle campagne finiscono nelle mani di un capitalismo cinese predatore, avido e senza scrupoli, in un paese dove le regole sono spesso calpestate. Alla Kingmaker che produce per la Timberland, gli operai dicono di non sapere neppure "se esiste un sindacato; i rappresentanti dei lavoratori sono stati nominati dai dirigenti della fabbrica". Le imprese che lavorano su licenza delle multinazionali occidentali, come la Kingmaker e la Pou Yuen, non sono le peggiori. Ancora più in basso ci sono i padroncini cinesi che producono in proprio. Per il quotidiano Nanfang di Canton, i due giornalisti Yan Liang e Lu Zheng sono riusciti a penetrare in un distretto dell'industria tessile dove il lavoro minorile è la regola, nella contea di Huahu. Hanno incontrato Yang Hanhong, 27 anni, piccolo imprenditore che recluta gli operai nel villaggio natale. Ha 12 minorenni alle sue dipendenze. Il suo investimento in capitale consiste nell'acquisto di forbici e aghi, con cui i ragazzini tagliano e cuciono le rifiniture dei vestiti. "La maggior parte di questi bambini - scrivono i due reporter - soffrono di herpes per l'inquinamento dei coloranti industriali. Con gli occhi costretti sempre a fissare il lavoro degli aghi, tutti hanno malattie della vista. Alla luce del sole non possono tenere aperti gli occhi infiammati. Lamentano mal di testa cronici. Liu Yiluan, 13 anni, non può addormentarsi senza prendere 2 o 3 analgesici ogni sera. Il suo padrone dice che Liu gli costa troppo in medicinali". Se mai un padrone venisse colto in flagrante reato di sfruttamento del
lavoro minorile, che cosa rischia? Una multa di 10.000 yuan (mille euro),
cioè una piccola percentuale dei profitti di queste imprese. La
revoca della licenza invece scatta solo se un bambino "diventa invalido
o muore sul lavoro". Comunque le notizie di processi e multe di questo
tipo scarseggiano. La battaglia contro lo sfruttamento del lavoro minorile
non sembra una priorità per le forze dell'ordine.
La parte delle belle addormentate nel bosco non si addice alle multinazionali. I loro ispettori possono anche essere ingenui ma i numeri, i conti sul costo del lavoro, li sanno leggere bene in America e in Germania (e in Francia e in Italia). La Puma sa di spendere 90 centesimi di euro per un paio di sneakers, gli stessi su cui poi investe ben 6 euro in costose sponsorizzazioni sportive. La Timberland sa di pagare mezzo euro l'operaio che confeziona scarpe da 150 euro. Hu Jintao, presidente della Repubblica popolare e segretario generale del partito comunista cinese, ha accolto lunedì a Pechino centinaia di top manager, industriali e banchieri stranieri venuti per il Global Forum di Fortune. Il discorso di Hu di fronte ai rappresentanti del capitalismo mondiale è stato interrotto da applausi a scena aperta. Il quotidiano ufficiale China Daily ha riassunto il suo comizio con un grande titolo in prima pagina: "You come, you profit, we all prosper". Voi venite, fate profitti, e tutti prosperiamo. Non è evidente chi sia incluso in quei "tutti", ma è chiaro da che parte sta Hu Jintao. |
Les "usines-lager"
(camps, goulags...) chinoises qui fabriquent le rêve occidental Pour confectionner une paire de Timberland, vendues en Europe 150 euros, dans la ville de Zhongshan un garçon de 14 ans gagne 45 centimes d’euro. Il travaille 16 heures par jour, dort à l’usine, n’a ni congé annuel ni assurance maladie, risque l’intoxication et vit sous l’oppression de patrons bourreaux. Pour fabriquer une paire de jogging Puma, un Chinois reçoit 90 centimes d’euro : le prix en Europe est de 178 euros pour le modèle avec le logo de la Ferrari. Dans l’usine-lager qui produit pour Puma, les rythmes de travail sont si intenses que les mains des travailleurs sont péniblement déformées par l’effort continu. Les ouvriers chinois qui fournissent nos magasins - l’armée prolétaire qui fait marcher la "fabrique du monde" - commencent à parler. Ils dévoilent leurs conditions de vie à une organisation humanitaire, ils livrent les preuves de l’exploitation inhumaine, du travail des mineurs, des violences, des maladies. Certains journaux chinois rompent l’omerta. Il y a des grèves spontanées, dans un Pays où le syndicat unique est du côté des patrons. Des fragments d’une histoire qui est l’autre visage du miracle asiatique viennent à la surface, une histoire de souffrances dont les complicités s’étendent du gouvernement de Pékin aux multinationales occidentales. La fabrique du "scandale Timberland" se trouve dans la riche région méridionale du Guangdong, le cœur de la puissance industrielle chinoise, la zone d’où démarra il y a un quart de siècle la conversion accélérée de la Chine au capitalisme. L’entreprise de Zhongshan s’appelle Kingmaker Footwear, ses capitaux sont taiwanais, elle compte 4 700 salariés dont 80% sont des femmes. Des mineurs de 14 et 15 ans y travaillent aussi. La plupart de la production est destinée à un seul client, Timberland. Kingmaker Footwear est un fournisseur qui travaille sur licence, autorisé à fabriquer les célèbres chaussures pour la marque américaine. Les témoignages directs sur les terribles abus perpétrés derrière les murs de cette usine ont été recueillis par l’association humanitaire China Labour Watch, engagée dans la bataille contre l’exploitation des mineurs et les violations des droits des travailleurs. Les preuves sont écrasantes. Face à ces révélations, le quartier général de la multinationale a du faire son mea culpa. Il l’a fait en sourdine ; certainement pas avec l’emphase avec laquelle il avait publicisé le prix de "meilleure entreprise de l’année pour les relations humaines" que lui avait octroyé la revue Fortune en 2004. Mais la direction admet maintenant explicitement, à travers une déclaration officielle signée par Robin Giampa, directeur des relations extérieures de Timberland : "Nous sommes conscients que cette fabrique a eu des problèmes concernant les conditions de travail. Nous sommes engagés actuellement à aider les propriétaires de la fabrique à s’améliorer". Mais les "problèmes concernant les conditions de travail" n’ont pas émergé pendant les inspections régulières dans ses usines chinoises que Timberland effectue (deux fois par an), ni ne se dégagent des rapports de son représentant permanent dans l’entreprise. Il a fallu les témoignages désespérés que les ouvriers ont confiés aux activistes humanitaires, en risquant le licenciement et la perte de leur salaire si leurs identités sont découvertes. "Dans chaque rayon il y a des garçons de 14 à 16 ans qui travaillent", disent les témoignages internes : une exploitation de mineurs qu’en théorie la Chine a mis hors la loi. La journée de travail commence a 7h30 et s’achève à 21h avec deux pauses pour les repas du midi et du soir, mais au-delà de l’horaire officiel les heures supplémentaires sont obligatoires. Les mois de pointe d’avril et de mai, quand Timberland augmente les commandes, "le roulement normal devient de 7 à 23h, avec seulement un dimanche de repos toutes les deux semaines ; les heures supplémentaires augmentent davantage et les travailleurs passent jusqu’à 105 heures par semaine dans l’usine". Les informateurs à l’intérieur de l’usine ont fourni 4 exemplaires de fiches de paie à China Labour Watch. La paie mensuelle est de 757 yuan (75 euros) "mais 44% sont déduits pour couvrir les frais du gîte et du couvert". Le gîte et le couvert, cela signifie des dortoirs où s’entassent 16 travailleurs sur des lits de camp métalliques et une cantine où "50 travailleurs ont été empoisonnés par des germes de bambou pourris". Dans l’usine, les patrons entretiennent un climat d’intimidation "y compris les violences physiques ; une ouvrière de 29 ans, battue par son contremaître, a été hospitalisée, mais l’entreprise ne lui paie pas les frais médicaux". Un mois de salaire est toujours gardé par l’entreprise comme arme de chantage : si un travailleur s’en va, il le perd. D’autres mensualités sont retardées sans explication. L’été dernier le non payement d’un mois de salaire a provoqué deux jours de grève. Le fournisseur de Puma est lui aussi dans le Guangdong, dans la localité de Dongguan. Il s’appelle Pou Yuen, un colosse avec 30 000 salariés. Dans un seul établissement, l’usine F, 3000 ouvriers font des chaussures sportives sur commande pour la multinationale allemande. La lettre d’un ouvrier décrit sa journée-type dans l’usine : "Nous sommes soumis à une discipline de type militaire. A 6h30 nous devons bondir debout, nettoyer nos chaussures, nous débarbouiller et nous habiller en 10 minutes. Nous courons à la cantine parce que le petit déjeuner est maigre et les derniers ont la pire nourriture, à 7h pile il faut pointer, sinon il y a une amende sur la fiche de paie. A 7h chaque groupe marche en file indienne derrière le contremaître et récitant en chœur la promesse de travailler diligemment. Si nous ne récitons pas à haute voix, s’il y a des erreurs dans le défilé, nous sommes punis. Les contremaîtres hurlent sans cesse. Nous devons subir, quiconque fait mine de résister est chassé. Nous, les ouvriers, nous venons de lointains villages de campagne. Nous sommes ici pour gagner de l’argent. Nous devons supporter en silence et continuer à travailler. (...) Dans les rayons confection, tu peux voir les ouvriers qui collent les semelles des chaussures. En regardant leurs mains, tu comprends depuis combien de temps ils travaillent ici. Les formes des mains changent complètement. Ceux qui voient ces mains sont effrayés. Ces ouvriers ne font rien d’autre que coller... Un jeune de 20 ans en parait 30 et semble être devenu stupide. Son seul espoir est de n’être pas licencié. Il fera ce travail toute sa vie, il n’a pas de choix. (...) Nous travaillons de 7 à 23h et la moitié d’entre nous souffre de la faim. A la cantine il y a de la soupe, des légumes et du bouillon. (...) Les commandes de Puma ont augmenté et le temps pour manger à la cantine a été réduit à une demie heure. (...) Dans les dortoirs nous n’avons pas d’eau chaude en hiver". Un autre témoignage révèle que "quand les hommes d’affaires étrangers arrivent pour une inspection, les ouvriers sont prévenus, les chefs nous font nettoyer et désinfecter tout, laver le sol ; ils sont très pinailleurs". Des mineurs à la chaîne de montage, des usines gérées comme des prisons, des salaires à peine suffisants pour survivre, des ouvriers empoisonnés par des substances toxiques et les accidents du travail : un massacre. Derrière ces plaies, il y a une longue chaîne de causes et de complicités. Le travail des enfants est souvent un choix obligé pour les familles. 800 millions de Chinois vivent encore dans les campagnes, où le revenu moyen peut être inférieur à 200 euros par an. Pour les plus pauvres, envoyer leurs enfants, et surtout leurs filles à l’usine, n’est pas le choix le plus cruel : dans le riche Guangdong fleurit aussi un autre marché du travail pour les petites filles, celui de la prostitution. Les émigrants qui arrivent des campagnes finissent dans les mains d’un capitalisme chinois prédateur, avide et sans scrupules, dans un pays où les règles sont souvent piétinées. A la Kingmaker, qui produit pour Timberland, les ouvriers disent ne même pas savoir "s’il existe un syndicat ; les représentants des travailleurs ont été nommés par les dirigeants de l’usine". Les entreprises qui travaillent sur licence des multinationales occidentales, comme Kingmaker et Pou Yuen, ne sont pas les pires. Encore plus bas, il y a les petits patrons chinois qui produisent pour leur propre compte. Pour le quotidien Nanfang de Canton, les deux journalistes Yan Liang et Lu Zheng ont réussi à pénétrer dans un district de l’industrie textile où le travail des mineurs est la règle, dans le comté de Huahu. Ils ont rencontré Yang Hanhong, 27 ans, petit entrepreneur qui recrute les ouvriers dans son village natal. Il a 12 mineurs parmi son personnel. Son investissement en capital consiste à acheter des ciseaux et des aiguilles, avec lesquels les gamins coupent et cousent les finitions des vêtements. "La plupart de ces enfants - écrivent les deux reporters - souffrent d’herpes à cause de la pollution des colorants industriels. Comme leurs yeux sont toujours contraints à fixer le travail des aiguilles, ils ont tous des maladies de la vue. A la lumière du soleil, ils peuvent pas garder ouverts leurs yeux enflammés. Il se plaignent de maux de tête chroniques. Liu Yiluan, 13 ans, ne peut pas s’endormir sans avaler 2 ou 3 analgésiques chaque soir. Son patron dit que Liu lui coûte trop en médicaments." Si jamais un patron est pris en flagrant délit d’exploitation du travail de mineurs, que risque-t-il ? Une amende de 10.000 yuan (mille euros), c’est-à-dire un petit pourcentage des profits de ces entreprises. La révocation de la licence, au contraire, n’intervient que si un enfant "devient invalide ou meurt au travail". De toute façon, les nouvelles de procès et d’amendes de ce type manquent cruellement. La bataille contre l’exploitation du travail des mineurs ne semble pas être une priorité pour les forces de l’ordre. Parmi les marques étrangères, Timberland et Puma sont l’échantillon représentatif d’une réalité plus vaste. Pour les opinions publiques occidentales, les multinationales rédigent leurs Social Reports, ces "rapports sur la responsabilité sociale de l’entreprise" dont Nike a été le précurseur. Elles promettent la transparence sur les conditions de travail dans les usines de leurs fournisseurs. Quitte à "découvrir" avec regret que leurs inspecteurs n’ont pas vu, que les abus continuent. Plusieurs audits dénoncent le fait qu’en Chine maintenant est en train de proliférer la contrefaçon des fiches de paie, les fausses fiches horaires, les fausses relations des inspecteurs sanitaires : des formulaires avec des timbres et des chiffres faussés pour simuler des salaires et des conditions de travail meilleurs, des documents à donner aux multinationales pour qu’elles aient la conscience tranquille. Dans son dernier Rapport Social, Nike dit de ses usines chinoises que "la falsification par les managers des livres de paie et des registres des horaires est une pratique commune". Le rôle de belle au bois dormant ne convient pas aux multinationales. Leurs inspecteurs peuvent même être naïfs mais les chiffres, les comptes sur le coût du travail on sait bien les lire en Amérique et en Allemagne (et en France et en Italie). Puma sait qu’elle dépense 90 centimes d’euro pour une paire de sneakers, les mêmes sur lesquelles l’entreprise investit ensuite 6 euros en de coûteuses sponsorisations sportives. Timberland sait qu’elle paye un demi euro l’ouvrier qui confectionne des chaussures à 150 euros. Hu Jintao, président de la République populaire et secrétaire général du parti communiste chinois, a accueilli lundi à Pékin des centaines de top managers, d’industriels et de banquiers étrangers venus pour le Global Forum de Fortune. Le discours de Hu face aux représentants du capitalisme mondial a été interrompu par des applaudissements. Le quotidien officiel China Daily l’a résumé par un grand titre en première page : "You come, you profit, we all prosper". Vous venez, vous faites des profits, et nous prospérons tous. Pas évident de savoir qui est inclus dans le "tous", mais de quel côté se trouve Hu Jintao, c’est clair. |
De toute façon, les
salaires sont si bas que les ouvriers n’ont guère le choix :
« Nous avons besoin des heures supplémentaires. » A condition qu’elles soient payées. Ce qui est loin d’être le cas dans toutes les usines. L’objectif de production fixé aux salariés payés à la pièce y est parfois tellement élevé, qu’ils doivent travailler au-delà des horaires légaux pour les atteindre, et cela sans compensation particulière. Les employeurs modulent d’ailleurs ces objectifs en fonction de leur volume de commande. « Dans la division vêtement, l’objectif habituel est de 1 000 pièces par ligne et par jour. Mais pendant la saison, il est doublé », explique Elsa, qui travaille chez un sous-traitant indonésien de Lotto, Puma, Fila, Asics, Nike et Adidas. Adidas prévoit un CA en hausse de 5% à 10% en 2006 mardi 28 juin 2005 (Reuters) PARIS - Le groupe d'équipements de sport Adidas-Salomon prévoit une hausse de 5% à 10% de ses revenus en 2006 en partie grâce à la Coupe du monde de Football en Allemagne, déclare son président Herbert Rainer dans un entretien aux Echos publié mardi. "Le Mondial de 2006 devrait nous permettre de faire un bond en avant et d'envisager une progression de notre chiffre d'affaires de 5% à 10%", dit-il. Le football représente pour Adidas 900 millions d'euros de chiffre d'affaires sur un total de 6,5 milliards. Herbert Rainer ajoute que la cession de sa filiale Salomon au finlandais Amer Sports devrait être "bouclée à la fin du mois de septembre comme prévu initialement". |
"Est-ce que les Français sont prêts à faire
ce que font les migrants chinois ?
A supporter ce qu'ils endurent dans le bâtiment, la restauration, la confection ou les services domestiques ? Dans certains secteurs, la France les utilise sans vergogne." Les Chinois représenteraient de 12 % à 25 % de l'immigration clandestine en France Le Monde - 21.06.05
C'est une tragédie souterraine, habillée d'expressions
pittoresques et de mots imagés. Dans leur rapport sur le trafic
et l'exploitation des immigrants chinois en France, publié par le
Bureau international du travail (BIT, Genève) et présenté,
mardi 21 juin, à Paris, Yun Gao et Véronique Poisson font
un bref inventaire de ces termes d'apparence savoureuse.
On y trouve la classique "tête de serpent" , qui désigne le passeur chez les migrants de la province chinoise du Fujian. Mais aussi la "route de l'eau" (pour les voyageurs clandestins qui traversent, cachés dans un canot et, parfois, à la nage, un bras de mer ou un fleuve) et le "bâtiment aux canards" (immondes entrepôts, où sont enfermés les migrants en transit). Sans oublier, invention plus récente, le "bâtiment à
canon" : c'est ainsi que les prostituées chinoises du quartier
de Belleville appellent la chambre de passe où défilent leurs
clients. Ces prostituées, comme beaucoup de Chinois arrivés
en France ces dix dernières années, sont originaires de Dongbei
(ex-Mandchourie, nord-est de la Chine) : depuis 1997, notent les auteures,
"le quartier de Belleville n'est plus l'apanage des Chinois du Zhejiang"
l'un des trois principaux pôles d'émigration avec la
région du Fujian.
"NICHES ÉCONOMIQUES ETHNIQUES" La France, d'ailleurs, est bien souvent un "pis-aller" ou un "tremplin" vers ces destinations "de premier choix" que restent, aux yeux des Chinois en partance, les Etats-Unis, le Japon, l'Australie et le Canada. Il n'en existe pas moins des liens migratoires anciens, souvent centenaires, entre certains pays européens et certaines régions de Chine. La juriste Yun Gao, qui a déjà travaillé sur le sujet plus vaste des migrations chinoises en Europe, relève que la France et l'Italie (l'Espagne aussi, dans une moindre mesure) sont parmi les pays "préférés" des filières chinoises, "à cause du textile et de la maroquinerie" , qui forment, avec la restauration asiatique, des "niches économiques ethniques" particulièrement friandes de travail clandestin. La "nouvelle vague" d'émigration chinoise, dont Yun Gao date l'émergence au début des années 1990, est l'une des conséquences de la "politique de réforme et d'ouverture sur l'extérieur" entamée en 1979 par la Chine, mais aussi de l'entrée de cette dernière dans l'Organisation mondiale du commerce (OMC) en décembre 2001. En France, on estime à environ 100 000 le nombre des détenteurs d'un passeport chinois, soit environ un tiers des quelque 250 000 à 300 000 immigrés chinois installés régulièrement. Quant aux immigrés chinois illégaux, ils seraient environ 50 000, sachant que, chaque année, près de 6 000 nouveaux clandestins font leur entrée en France. "Si les estimations gouvernementales concernant les immigrés clandestins sont exactes de 200 000 à 400 000, calcule Yun Gao, cela signifie que les Chinois représentent de 12 % à 25 % du total des immigrés illégaux en France." A l'en croire, cette "nouvelle vague" ne devrait pas redescendre de sitôt, mais "rester stable" durant quelques années encore. "Est-ce que les Français sont prêts à faire ce que font les migrants chinois ? A supporter ce qu'ils endurent dans le bâtiment, la restauration, la confection ou les services domestiques ?, se demande-t-elle. Dans certains secteurs, la France les utilise sans vergogne." L'étude qu'elle publie avec sa consoeur française, un ouvrage de référence en la matière, en dit long sur l'exploitation de ces Chinois auprès desquels les deux chercheuses ont eu un accès direct grâce, notamment, à l'Association franco-chinoise de soutien linguistique et culturel (ASLC). Catherine Simon
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